GIOVANE E’….QUASI UN DIARIO 4

L’ultimo giorno del Convegno è iniziato con la lectio di Suor Grazia Papola su Deuteronomio 26,1-11. E’ un testo sintetico che riprende alcuni temi cari al popolo di Dio, primo fra tutto quello del pellegrinaggio. L’israelita è invitato a compiere un esodo che implica sempre un lasciare qualcosa e un attraversare spazi, con molti panorami, non solo geografici, senza possederli. La meta di questo viaggio non è il santuario, ma la condivisione delle primizie con il levita e lo straniero cioè quelle persone che non possiedono la terra e quindi non possono fare l’offerta. Così tutti nel popolo hanno la stessa possibilità di vita. La vita non sta dove si possiede qualcosa ma lì dove sta il Signore, cioè nel dono. Tutti siamo chiamati entrare in una terra ‘dove scorre latte e miele’ segno, non solo una terra ricca di risorse, ma anche di una società nuova attraversata dalla libertà, dalla gratuità, dalla riconoscenza e dal riconoscimento del Signore, come Colui che non trattiene niente per se ma è disponibile al dono per tutti.

In fondo questa comunità che condivide è quella che siamo chiamati a costruire! La mattinata è proseguita affrontando il tema “giovani per un sviluppo di comunità. Voci dal territorio” con l’ausilio del prof. Ennio Ripamonti, docente Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano Bicocca e del dott. Paolo Beccegato, vice direttore Caritas italiana, moderato da Lucia Bellaspiga di Avvenire. Il professor Ripamonti è partito dall’espressione “Sviluppo di comunità”, traduzione di un programma messo a punto negli anni cinquanta dall’ONU, per i Paesi in via di sviluppo, sulla base di una crisi delle modalità di sostegno tradizionale. Molti aiuti infatti generavano assistenzialismo, spreco e corruzione. Questo approccio oggi è diventato interessante anche nelle nostre comunità in crisi, specie nelle periferie urbane. È innegabile che viviamo in un contesto in cui l’io si è gonfiato ( si parla di io ipertrofico) al punto tale da esplodere in un forte individualismo. Nello stesso tempo si registra un equivoco di fondo sulla parola comunità che rimanda ad un immaginario ingannevole come luogo pacificato, aperto alla condivisione, riconciliato. Così a volte per proteggere questa idea di comunità c’è bisogno di un “loro”. Degno di nota l’approfondimento sulla duplice radice semantica della parola comunità : ‘avere qualcosa in comune’ e ‘mettere qualcosa in comune’. La comunità dei simili evidentemente risulta escludente per chi è diverso, mentre se si mette qualcosa in comune si entra nella logica del dono, si impara a stare nel conflitto, si reinventa il vivere insieme. Ciò che non si rigenera degenera. Occorre tornare a coniugare l’io con il tu, investire su progetti che generano un “noi”, che diventano “nicchie ecologiche”. Lo sviluppo di comunità oggi forse richiede di dissodare un pezzo di campo, trasformandolo positivamente, nella speranza che questo diventi contagioso. C’è più che mai bisogno di utopie ragionevoli e cioè di utopie con la “u” minuscola.

Il dottor Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas Italiana, oltre a proiettare attraverso dei video alcune esperienze di giovani impegnati con la Caritas nei vari continenti, attraverso i caschi bianchi, ha ricordato come i tanti tipi di conflitti hanno alla radice sempre quattro fattori: la povertà assoluta, il crescere delle diseguaglianze, la recessione economica, la dipendenze da poche fonti economiche. Quando questi quattro fattori sono simultaneamente presenti è più probabile il conflitto.

Allora globalmente e localmente occorre lottare contro questi per evitare la guerra. Interessante è stata la conclusione del prof. Ripamonti che ha ribadito come oggi, rispetto ai giovani, si punta molto sul consumo e sulla competizione, ma questo genera solitudini e stati depressivi. Non si può pensare ad una società solo per eccellenze. Il problema non è vincere o perdere, ma la possibilità di perdere non da sconfitti. C’è bisogno di generare esperienze che hanno un tono di sfida e un po’ avventurose, dove però vince la cooperazione. Occorre superare il paradigma del più bravo e del più bello. Il quarantesima edizione del Convegno si è conclusa con la relazione finale del direttore di Caritas Italiana Mons. Francesco Soddu che possiamo leggere sul sito della Caritas Italiana. Prima di ripartire per le propri diocesi c’è stata la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo di Belluno, Mons. Renato Marrangoni, che commentando i testi liturgici, ed in modo particolare il testo degli Atti che racconta l’incontro tra Filippo e l’etiope, ci ha invitato a rialzarci e ad andare verso mezzogiorno, dove splende il sole, imitando il nostro Dio a cui piace scendere.

Ci ha sollecitato ad ascoltare le parole dello Spirito: va avanti e accostati e accostati a quel carro.
Siamo così ripartiti con il desiderio di non imprigionare lo Spirito, di non imporgli le nostre misure, i nostri ritmi, le nostre paure e con l’impegno ad ‘accostarci’ per salire sul carro del fratello, della sorella e, con disarmante sobrietà, annunciare Gesù, possibilità di ‘gioire ed esultare’!